Rocco Scotellaro: il potere delle parole
LUCANIA
M’accompagna lo zirlio dei grilli
e il suono del campano al collo
d’una inquieta capretta.
Il vento mi fascia di sottilissimi nastri d’argento
e là, nell’ombra delle nubi sperduto
giace in frantumi un paesetto lucano
(1940)¹
Tricarico, il mio pensiero vola direttamente verso di lui, Rocco Scotellaro. Il suo sorriso mezzo abbozzato celava dentro un mondo. Poliedrico, innovatore, la sua scrittura è una fotografia del dopoguerra, è una dichiarazione di intenti, è amore.
Era il 1940, Scotellaro aveva solo 17 anni. “Lucania” è un quadro, una istantanea realizzata da un giovane studente liceale che torna a casa alla fine dell’anno scolastico. Vede in lontananza la sua Tricarico, è notte e il suo treno è appena arrivato in stazione. Si incammina e man mano che si avvicina al suo paese il giorno inizia a fare capolino. Un lieve venticello e “sottilissimi nastri d’argento” lo accarezzavano. Le case “sembravano precipitare – si legge sul blog Rabatana – Tricarico era vicina, la sua vista salutava il ritorno a casa … alla terra promessa, alla Gerusalemme ritrovata. Non era un bel panorama quel versante battuto dal vento. Si vedeva come uno schizzo di case che sembravano precipitare in basso, verso la torre Saracena, ma era un’allegria al cuore”.
Rocco Scotellaro è stato uno spartiacque per la cultura lucana, grazie a lui c’è stato un prima e un dopo.
Diceva di lui: «Sono nato il 1923, ho studiato giurisprudenza all’Università senza laurearmi, sono stato eletto due volte, nel 1946 e nel 1948, sindaco di Tricarico (Matera) che è il mio paese di nascita. Arrestato e assolto con formula piena e perciò reintegrato funzione di Sindaco, mi sono dimesso dalla carica nel 1950 per poter lavorare qui dove mi occupo di sociologia rurale. I miei sono gente poverissima: mio padre era calzolaio, mia madre ha fatto la sarta, la donna di campagna e di casa e ha scritto, scrive tuttora, le lettere per i parenti analfabeti degli emigrati in America. Politicamente ho fiducia che cessi la indegna e mortifera divisione del mondo perché l’umanità possa curarsi dei suoi mali: la povertà economica e il decadimento culturale».
Ci sarebbe tanto, troppo da dire, ma non è questa la sede per farlo. Ciò che è certo è che grazie a Scotellaro c’è un prima e un dopo. Le persone geniali lasciano un segno, il suo è tracciato nelle fondamenta dell’animo lucano.
La Cattedrale e l’antica diocesi
Tricarico, un comune di 5.000 abitanti, numeri importanti per questa regione abituata ai piccoli borghi, numeri irrisori per chi proviene da grandi realtà.
Tricarico, fulcro culturale, immortalata dai grandi della fotografia e del cinema, scrigno di storia.
La sua antica diocesi venne eretta nel 968 come diocesi di rito bizantino e passò al rito latino nel 1060. Un documento a firma di Niceforo Foca, imperatore di Bisanzio, autorizza il patriarca di Costantinopoli, Polieucto a conferire all’arcivescovo di Otranto la potestà di consacrare i vescovi delle sedi suffraganee di Tricarico, Tursi, Acerenza, Gravina e Matera.
L’edificio della chiesa è stato costruito nell’ XI secolo per volere di Roberto il Guiscardo, grande dominatore normanno, su donazione del nipote, Roberto di Montescaglioso. Molte le denominazioni, Santa Maria Littorile o Santa Maria del Littorio a ricordo di un’antica chiesetta e a seguito del ritrovamento di un quadro artistico rappresentante la Vergine venne dedicata a Santa Maria Assunta.
In origine nasce per essere una cattedrale in stile romanico ma, nel corso dei secoli, è stata più volte rimaneggiata. Pierluigi Carafa, arricchì la cattedrale di numerose suppellettili, mutò le sue dimensioni da croce greca a croce latina, aggiungendo le navate laterali, eliminando il matroneo. Costruì inoltre l’altare del purgatorio e un organo. Pierluigi Carafa il minore, invece, ampliò gli ornati della chiesa, eliminò le figure bizantine e angioine che decoravano le pareti e fece costruire due cassette in argento contenenti le reliquie di San Potito martire e di Sant’Antonio Abate. I lavori realizzati dal vescovo Del Plato, hanno modificato ulteriormente la cattedrale così come la vediamo oggi, con un nuovo apparato decorativo in stile barocco e l’inserimento delle cappelle laterali.
La cattedrale è scrigno di importanti opere d’arte come la “Madonna con Bambino tra i santi Francesco e Antonio” un trittico su tavola risalente alla prima metà del XVI secolo da anonimo artista, le tele della “Madonna della Purità tra San Gaetano da Thiene e Sant’Andrea Avellino e le anime purganti” e la “Assunzione di Maria Vergine” del pittore tricaricese Cesare Scerra, della metà del XVII secolo, le due tele del “Trasporto al sepolcro” del 1607 e della “Deposizione” risalente al 1634 del pittore Pietro Antonio Ferro.
Il campanile conserva la pianta quadrata, una finestra bifora ed una campana del duecento.
La Torre e il Castello
Il simbolo architettonico di Tricarico è senza dubbio la Torre Magna che venne eretta nei secoli IX-X come rocca fortificata a difesa del Kastron di Tricarico. Le caratteristiche della struttura riportano però al periodo angioino. La sua forma è cilindrica, orlata da beccatelli e archetti di coronamento con caditoie. Alta ben 27 metri, ha pareti spesse anche oltre i cinque metri. Le sue uniche aperture sono delle strette feritoie e un piccolo numero di finestre disposte sui quattro lati delle sale interne. I primi due livelli ospitano sale a pianta circolare, gli altri due ospitano sale a pianta quadrata. A piano terra l’ambiente presenta una porta di ingresso che probabilmente portava ad una cisterna. L’ingresso della torre anticamente era sopraelevato, si accedeva ad essa grazie ad una torretta di forma rettangolare posta di fianco alla struttura principale.
Il Castello, venne costruito per essere una rocca fortificata nella parte più elevata dell’abitato, il Monte, e donato alle suore di clausura nel 1333 per insediarvi il monastero dedicato a Santa Chiara, dando origine ad una delle prime fondazioni di Clarisse in Basilicata. Soppresso il Monastero nel 1860, la struttura ebbe una nuova vita come sede delle suore Discepole di Gesù Eucaristico che hanno svolto all’interno della comunità una importante azione educativa attraverso la gestione delle scuole.
L’identità: il Carnevale, i riti e le sue maschere
Nella mia ultima visita a Tricarico mi ha colpito un piccolo dettaglio. Al centro di una rotonda era appeso un insieme di nastri colorati riconducibili a quelli che vengono indossati durante il carnevale dalle maschere. Ciò che stupisce è che la mia visita è stata realizzata a fine giugno, ed è qui che ho compreso quanto sia identitario, quanto sia fondamentale per i tricaricesi il periodo delle maschere.
Il Carnevale di Tricarico, si apre con il 17 gennaio, giornata dedicata a Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, forse il giorno più lungo dell’anno. Il paese si sveglia con le prime luci dell’alba e la vestizione delle maschere è realizzata in antiche case allestite ancora con “arredamento” contadino.
Lo start della manifestazione è posto nelle vicinanze dell’antica chiesa di Sant’Antonio Abate, all’entrata della cittadina, è proprio qui che si accende un falò in onore del Santo e si ripercorrono gli antichi rituali antropologici dei tre giri propiziatori intorno la chiesa e la benedizione della “mandria” in partenza per le vie del paese. La “mandria” è guidata e diretta da massari, capomassari e sottomassari, dal conte e la contessa, signori di Tricarico.
La maschera è senza dubbio simbolo di ambiguità e occultamento di identità, ma allo stesso tempo acquista valori positivi se considerata in contesti particolari, uno di questi è quello relativo allo studio antropologico. La maschera in questo caso è considerata come un mezzo utile a captare presunte forze della natura che possano essere orientate a beneficio della comunità.
Il carnevale di Tricarico è una manifestazione piena di simboli, come quello del ciclo vita-morte-rinascita. Un rito che si ripete nell’ultima domenica prima di martedì grasso, e oltre alla sfilata delle maschere, prevede anche la costruzione e distruzione del Fantoccio con l’immancabile falò e il pianto di Quaremma, moglie del Carnevale.
Momenti ludici e intrisi di tradizione, che siamo certi di rivivere al più presto.
Ci sarebbe davvero tanto altro da raccontare su questo scrigno di storia, ci ritorneremo sicuramente con un nuovo articolo dedicato alle bellezze della città delle maschere.
Grazie a Sara Sacco, volontaria del Servizio Civile Universale per il materiale fornito e alla Pro Loco di Tricarico, custode di tradizioni. Una meraviglia lucana da non perdere.
Per maggiori informazioni:
https://www.prolocotricarico.it/
https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-sindaco-dei-diseredati-e-la-giustizia_26-01-2019.php
https://antoniomartino.myblog.it/2015/06/26/rocco-scotellaro-lucania/
¹È fatto giorno. 1940-1953, Milano, Mondadori, 1954, Premio Viareggio Narrativa1982
Antonella D’Andria
Lucana. Laureata magistrale in Lingue e letterature straniere, ho una passione incontrollabile per lo spagnolo in tutte le sue forme artistiche, culturali e gastronomiche. Lui apprezza e contraccambia. Dal 2014 mi occupo della comunicazione digitale della Pro Loco di Acerenza e da qualche anno collaboro con una importante azienda lucana. Ho conseguito un master in Editoria e comunicazione, percorso che mi ha permesso di conoscere dei giovani brillanti che sono diventati i miei compagni di avventura in #ioviaggiolucano. Scrivo per il Mattino di Puglia e Basilicata, luogo virtuale che mi concede di fare ciò che amo di più: raccontare il mio territorio. Antonio è il mio paziente fidanzato.