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Pino Oliva: IO SONO LIBERO!

«Libertà l’ho vista dormire nei campi coltivati a cielo e denaro, a cielo ed amore, protetta da un filo spinato». Così De Andrè cantava nel suo Suonatore Jones, raccogliendo in poche parole forse quello che ognuno di noi, amaramente, ha dovuto della vita constatare.

Pino Oliva, classe 1965, materano incallito, provinciale per vocazione e tanto curioso quanto enigmatico. Una laurea in Giurisprudenza mai utilizzata, disegnatore da quando era in fasce ed i suoi colori preferiti sono i complementari. La libertà penso lui l’abbia davvero vista nella terra da coltivare, la sua terra: Matera. Una terra che, negli anni di formazione di Pino, era sì arida e si muoveva lungo il filo spinato di un meridione coltivato, più che a cielo ed amore, a cielo  e denaro, lo stesso che spingeva la sua generazione  ad emigrare verso orizzonti più sicuri. Nelle parole di Pino la consapevolezza di un passato nemmeno troppo remoto da non far più paura, nei suoi occhi la certezza di una città che ha saputo trarre dal nulla il tutto, dalla vergogna l’esemplarità e nelle sue tele la spensieratezza di un bambino, troppo cresciuto anagraficamente ma ancora troppo piccolo per potersi abbandonare alla tristezza.

L'arte lucana di Pino Oliva

Una gomitata per salutarci ed un sorriso celato dietro la mascherina. Entriamo nel suo studio, ci sistemiamo ed iniziamo. L’ufficio è stracolmo dei suoi lavori e non è difficile imbattermi in un Chitarrid appena abbozzato oppure in un suo vecchio progetto grafico. Da una parte il vecchio Macintosh, amico di giovinezza, che sta lì come a segnare il tempo che è passato, tempi  in cui un progetto grafico richiedeva ore ed ore di lavorio cenobitico per svelare l’immagine nascosta dietro i pixel, dall’altra invece l’assoluta contemporaneità agghindata di nuovi progetti.

Che l’arte oggi debba essere necessariamente “impegnata” certo non lo ha prescritto nessun medico, ed è forse in questa dialettica che si pone Pino, che con le sue tele al confine tra Pop e Metafisica mi riporta nella dimensione più arcaica del rappresentare, laddove il raziocinio si limita alla misura della tela. Paesaggi sconfinati, esili figurine volanti, sfondi dai colori stridenti; più che tele sono un elogio alla serenità. Velature dal sapore acre, che ricordano i colori di un mediterraneo non troppo felice o che semplicemente anelano all’Oriente dove il sole si libra in un arancio di cadmio. Una poesia cadenzata su ritmi pacati ma che possono inavvertitamente immergere in un turbinio di emozioni discordanti. Emozioni che quindi si svelano al di là di ogni etichetta o formalismo nudo e crudo.

Molti i progetti curati, tanti ancora da fare, sin dall’epoca dello Studio PAZZ (1980, con Giuseppe Palumbo ed Enrico Filippucci) nato come contraltare materano dello studio romano FRAZZ, esperienza durata tre anni che ha portato successivamente all’apertura dello Studio Blu, la sua casa grafica. Molti i fumetti da lui disegnati e non ultimo il lungo progetto  dedicato al brigante lucano Chitarrid. Tanti i libri che riempiono la sua libreria, dai gialli sacrosanti a libri di Fisica teoretica, perché Pino legge e la lettura gli serve più della matita. Immaginare mondi, navigare fra le parole è l’esercizio che, a detta di Pino, più lo aiuta nella realizzazione delle sue opere. Se dipingere significa, in un certo senso, destrutturare il disegno, disegnare certo non richiede alcuna sottrazione. Infatti, nel momento in cui ci si appresta a disegnare, bisogna (se la logica mi aiuta)  aggiungere qualcosa ad un foglio intonso. È in questo momento che Pino ricorre alle sue letture e a quell’abile esercizio mentale di riproporre in figura il mondo, fino a quel momento, solo immaginato. Non è un caso che Pino si ritenga un rinascimentale nella tecnica! Ed è forse nell’esercizio di una contemporaneità vissuta all’antica che riesce a far immaginare mondi idilliaci, ad andare, nel vero senso della parola, oltre la fisica ed immaginare colori che quindi si legano più che ad una cultura pop ad una cultura meta pigmentaria  e che quindi permette di attingere a nuance che vanno oltre il semplice pigmento. Che le velature in pittura non siano altro che sospiri di colore ben lo ha attestato Leonardo e non è un caso che Pino nella sua eclettica vitalità riesca ad accostarsi alla pittura ad olio con la disinvoltura propria di un pittore nordico e che i suoi mondi, in una qualsivoglia misura, rimandino ai mondi immaginati da Hieronymus Bosch. Eppure fa eco nella sua produzione la scandita Matera, che a questo punto non può che rimandare alle piazze deserte di De Chirico, dove l’orologio immobile si riflette nella torre campanaria del duomo materano. Come in un cocktail, Pino riesce a shakerare tutti questi ingredienti, servendoli ora in una tela ora in un acquerello oppure ancora in un disegno. Pino non smette mai di stupire, nemmeno quando mostra i suoi progetti grafici, calibrati in una logica che sfugge alla razionalità e che finisce per straripare nel suo mondo spensierato. Dai tempi di Adobe 1 ad oggi, le sue grafiche hanno accompagnato la sua città, che spessissimo si è avvalsa della sua opera, dalla grafica per il latte Rugiada ad un particolare formato di pasta dedicato ai sassi materani. Ad ogni modo, non si può essere artisti se non si è aperti a nuovi orizzonti! Ogni volta con Pino il viaggio sembra essere appena iniziato, ogni suo progetto è una nuova partenza, ogni suo ricordo l’unico arrivo. Le sue opere, legate una all’altra come in un diario non solo ripercorrono il suo mondo, ma solcano sentieri nei quali qualcuno, non solo oggi, dovrà imbattersi. Ed è forse in questo senso che si muove il pensiero metafisico di Pino, pensiero che si traduce in forme che vanno oltre la fisicità del tempo e che instaurano un rapporto con il futuro come in  quello di una danza propiziatoria in cui la certezza del fenomeno è data dal vorticare impetuoso del desiderio. In questo spazio penso si muovano le opere di  Pino, delineato solo dal confine insuperabile dell’immaginazione.

Con un ridere rauco ,tanti ricordi e nessun rimpianto finì il Suonatore Jones e così anche il nostro incontro, con un sorriso più che rauco, nascosto, ma di sicuro con la promessa di guardare ancora una volta al futuro che, seppur incerto, la nostra amata terra ha sapientemente domato!  

Fabrizio Perrone

Fabrizio Perrone, classe ’95, cresciuto sotto l’ombra del castello di Miglionico. Studente dell’Università di Urbino e successivamente dell’Università di Siena, aspetto impaziente di conseguire la Laurea Magistrale in Storia dell’Arte. Interessato agli svolgimenti dell’arte cinquecentesca e al macchinoso rapporto fra passato e presente curo la rubrica #artelucana per il blog #ioviaggiolucano.