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Craco vecchia, “scultura d’argilla”

Tutto quello che non sai sul borgo lucano disabitato

Craco vecchia, la città fantasma, dicono. Craco, una “scultura d’argilla”, dico.

Ci troviamo nel cuore della Basilicata, su una collina a circa 390 m.s.l.m., a circa 20 chilometri da Pisticci e a circa 60 chilometri da Matera, fra monti e mare. “Craco è uno dei luoghi più intensi che si possano vedere nel Sud. Ed è quasi sempre una visione solitaria. Sei tu e il paese che non c’è più”, queste le parole che lo scrittore originario di Bisaccia, Franco Arminio, dedica a Craco in Terracarne. E prendendo spunto da questa citazione mi interrogo, quando un luogo smette di esistere?

Quel che è certo è che la parte più antica di Craco, dal 1974, è caduta in un sonno assordante e si cela ai visitatori. Percorrendo la statale 103 in direzione San Mauro Forte fino all’incrocio dove si leggono le indicazione per Ferrandina, solo dopo una serie di tornanti inaspettatamente apparirà alla vista la “scultura d’argilla”.

“Artista crachese e “scultura d’argilla”

Se si considera la scultura la tecnica di ricavare da un materiale la forma, potremmo definire Craco una “scultura d’argilla”.

L’“artista crachese”, che scelse quel terreno argilloso come base per il proprio intervento creativo, fu forse animato da inesperienza, ma probabilmente suggestionato da uno scenario che se da un lato mostrava estese praterie dall’altro era dominato da calanchi.

I calanchi sono particolari forme di erosione innescate dall’azione combinata del sole (che surriscalda la parte superficiale dell’argilla provocandone screpolature e fessure) e dell’acqua piovana. Questa, per infiltrazione, provoca la disgregazione delle argille dando vita a geometrie radiali o a pettini separate da stretti crinali a “lama di coltello” e da guglie aguzze.

Continuò per lungo tempo, notte e giorno senza arrestarsi, se non per asciugarsi il sudore dalla fronte scura e raggrinzita. Indossava un grembiule bianco sporco e scalpello e mano diventarono un tutt’uno. La sua era una scultura a tutto tondo, ammirabile da ogni angolazione. Un interminabile susseguirsi, in salita, di piccole case, dalle piccole finestre, raggiungibili attraverso uno snodarsi contorto di vicoli e gradinate.

Terminata l’ultima fase di levigatura, si allontanò e osservò da un punto lontano Craco. Il materiale aveva preso forma e così nel lontanissimo VIII a.C. giunsero in paese i primi abitanti.

Storia di un’opera d’arte

Nel X secolo Craco divenne insediamento dei monaci italo-bizantini. Il borgo antico venne costruito a partire dal 1154. Successivamente, durante il regno di Federico ll, si distinse come importante centro strategico militare. Nel 1276 il paese fu anche sede universitaria come si evince da alcuni resti di architetture di pregio. Il fenomeno del brigantaggio interessò la zona e non è leggenda la fucilazione di un gruppo di briganti di fronte al campanile della chiesa Madre nel corso delle rivolte post-unitarie, nel 1861.

La “città del grano” e il manifesto contadino “Pane e lavoro”

Un terreno difficile, ma che ben si presta alla coltivazione di grano duro. In particolare si attribuisce ad un ordine monastico qui stabilitosi lo sviluppo agricolo. Fu allora, quando il territorio si tinse di giallo, che l’“artista crachese” comprese fosse giunto il momento di attribuire un nome alla sua opera, che gli stessi abitanti del luogo iniziarono a plasmare. La scelta cadde su Craco, da Graculum, piccolo campo arato.

La produzione agricola nel tempo divenne tra le più fiorenti dell’intera regione. A ridosso degli anni Sessanta, si produsse talmente tanto grano che i circa 2000 abitanti non furono in grado di far fronte alle esigenze di coltivazione delle immense terre delle famiglie nobiliari locali e si richiese, quindi, l’apporto di manovalanza anche dal Salento. L’instaurarsi del malcontento per la redistribuzione delle terre ai piccoli coltivatori, che avrebbe condotto alla fine del latifondismo — arrivata infine con la riforma agraria di metà anni Sessanta — ebbe in Craco una delle sue principali manifestazioni, come è possibile dedurre da un manifesto in rosso ancora oggi visibile e sbiadito sulla facciata di Palazzo Grossi: “Pane e lavoro”. Quelle terre, redistribuite dopo la riforma, oggi non sono coltivate.

Il declino di un’opera d’arte per mano della natura e dell’uomo

Seduto su una sedia impagliata in legno, immerso in un paesaggio lunare, l’“artista crachese” osservò con un binocolo rudimentale e l’espressione incredula la sua scultura frantumarsi. Chi ne fu il responsabile?

Era il 1963 quando una violenta frana colpì l’antica Craco. Fu causata da errori nella progettazione del sistema idrico, che comportarono un lungo processo di disgregamento del suolo. Un evento che poteva essere fermato, all’epoca, creando dei terrazzamenti con alberi che bloccassero il cedimento, ma che, invece, venne arginato con muri di contenimento in cemento armato, — profondità di circa 30 metri e lunghezza di circa 60 metri — che dopo soli cinque giorni dall’inaugurazione diedero i primi segnali di cedimento, poiché posizionati sulla parte più debole e argillosa della montagna. La popolazione fu costretta ad abbandonare le proprie case per trasferirsi a valle, in località Craco Peschiera. Era il 1974 quando anche i più legati alle proprio radici e i più resilienti salutarono il luogo natio.

Craco. Quando un luogo smette di esistere?

Forse a seguito dello spopolamento c’è stato un momento in cui Craco avrebbe potuto smettere di esistere, giorni intensi in cui anche l’“artista crachese” abbandonò in un cassetto della dispensa il suo scalpello promettendosi di appendere il grembiule al chiodo e non perché non vi fossero più persone ad abitarlo quotidianamente, ma perché la “scultura d’argilla” venne privata della sua anima. Craco divenne per alcuni occasione di vandalismo e saccheggio: dalle ringhiere in ferro battuto, finestre, mobili delle abitazioni fino allo smantellamento dell’altare della chiesa madre e ancora il suo orologio, organo, battistero ecc.

Un luogo non smette di esistere quando esiste anche una sola persona, magari un giovane ragazzo di origini meridionali, il cui nonno immigrò in Germania come operaio o una donna in vena di cultura e passeggiate o una ragazza da pochissimo geologo o un pasticciere curioso o chiunque altro un giorno a Craco abbia ascoltato il rintocco delle campane che non suonano da decenni, abbia avvertito il profumo di pasti che non vengono più cucinati, abbia visto un gruppo di anziani intendi a chiacchiere sulle previsioni meteo seduti su seggiole dondolanti ora impolverate in fondo ad una delle tantissime case vuote aggrappate alla roccia.  

Qualcuno, oggi, a Craco vecchia ci vive. Si tratta di sei asini portati lì da un proprietario del luogo, che al termine di ogni tour salutano il turista di turno.

Visita guidata del borgo

Oggi è possibile visitare Craco in sicurezza, muniti di caschetto protettivo e accompagnati da una guida. Si accede a Craco tramite un cancello che accoglie il visitatore lungo il corso principale in pietra del paese. Prima di inoltrarsi nel cuore del luogo si fa una prima sosta in quella che era la vecchia piazza principale. Percorrendo vicoli e contrade si potranno ammirare alcuni edifici rimasti praticamente intatti, come la chiesa madre, la torre normanna e alcuni palazzi nobiliari: Palazzo Maronna, Palazzo Grossi, Palazzo Carbone e Palazzo Simonetti. La Chiesa Madre di San Nicola Vescovo presenta un ingresso monumentale, maestoso e un campanile, realizzato su tre ordini e coperto da una cupola estradossata a sua volta sormontata da maioliche e da un campanile a vela; si fa notare nei pressi della chiesta il Palazzo Grossi.

Ci si imbatte poi nel Palazzo Carbone, edificio della fine del quattrocento, con ingresso monumentale. Nel Settecento, il palazzo fu rinnovato ed ampliato. Proprio accanto a quello che un tempo era Palazzo Maronna svetta il torrione, la torre normanna, che in passato la gente chiamava “castello”. Domina il borgo e la valle e ha forma quadrata. All’interno su un pannello si legge: “Qui, un anonimo visitatore dopo essersi affacciato ha scritto: “Fantastico!”. Affacciatevi anche voi, ma scrivetelo solo nei vostri pensieri…”. Questo si riferisce ad un periodo in cui il borgo era liberamente visitabile e le mura si sporcarono di scritti vandalici e si decise di pulire tutto e lasciare visibile un’unica scritta “fantastico” posta immediatamente sotto una delle finestre della torre, perché esplicativa dell’apprezzamento di un visitatore ignoto.

Nel 2010, il borgo è entrato nella lista dei monumenti da salvaguardare redatta dalla World Monuments Fund.

Oltre il borgo

L’interesse di tanti visitatori ha portato alle creazione del Museo Emozionale di Craco (Mec), allestito nell’antico Monastero di San Pietro, che include una sala proiezioni e un archivio digitale storico, cinematografico e della memoria.

Craco, set cinematografico

Alcuni titoli:

  • La Lupa di Alberto Lattuada
  • Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi
  • King David di Bruce Beresford
  • Sole anche di notte dei fratelli Taviani
  • Terra bruciata di Fabio Segatori
  • Nativity di Catherine Hardwicke
  • La passione di Cristo di Mel Gibson
  • Agente 007 – Quantum of Solace, di Marc Forster
  • Basilicata coast to coast, di Rocco Papaleo
  • Ninfa Plebea di Lina Wertmüller

Le visite al Parco Museo Scenografico di Craco sono gestite dalla Pro Loco Craco e dal Comune di Craco grazie al patto di collaborazione e il progetto “Museo a Cielo Aperto”.

Per info contattare Antonio Consoli, presidente della Pro Loco Craco: 3381602205.

Grazia Valeria Gelsomina Ruggiero

Grazia Valeria Gelsomina. Mina per gli amici. Lucana. Designer. Cosa voglio fare da grande? Conosco una parola contenitore di ciò che mi piace: “creare”. Che si tratti di un disegno su carta che prenderà forma, di una pagina bianca che attende di essere scritta o di realizzare da zero un contenuto grafico. Attualmente collaboro con il Mattino di Puglia e Basilicata. Ho frequentato un Master in editoria e comunicazione che mi ha lasciato, fra le tante cose, quattro empatici amici con cui condividere questo nuovo viaggio. Perché scrivere della mia terra in un blog? Sono di buona forchetta e qui c’è cibo buono in abbondanza. Mi perderei nei vicoli di antichi borghi senza controllare l’ora. Non dico mai no ad un’escursione, che sia in un bosco, ai piedi di una cascata, fra le dolomiti, su un lago…. Ma quanti scenari offre la Basilicata?