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Cesare Maremonti: “Passerà anche questa stazione senza far male”

Viaggiare, non fosse  che per conquistare i posti con il solo sguardo, è senza dubbio il desiderio di ognuno di noi. Viaggiare per la stessa ragione del viaggio, cantava De Andrè in una delle sue più belle canzoni, portarsi addosso il profumo di mete lontane, rubare i colori della terra per poterli rigettare nei propri ricordi. Ed  è proprio quando il viaggio si fa sempre più corto fino ad arrivare dietro l’angolo di casa tua, che dovresti  renderti conto che stai rubando quello che già era tuo.

Abbiamo lasciato gli scoscesi vicoletti di Matera per spostarci poco distanti, in un piccolo borgo, che la storia ci ha restituito come il paese del Malconsiglio. Venti kilometri da Matera, quattrocentosessantuno metri s.l. m., duemilacinquecento abitanti, fra cui io.

Un lunedì mattina come tanti, a farmi compagnia la calura estiva, a rendermela meno appiccicosa il mio ventilatore di fiducia. Da pochi giorni a Miglionico si è inaugurata una personale, ed io come sempre non ho avuto la possibilità di esserci. Non mi resta che rimediare al danno!!! Eccomi dunque alla vecchia stazione ferroviaria di Miglionico. Decentrata rispetto al paesino, ma ancora tutta intatta, pare manchi solo il suono del fischietto del capostazione. Superfluo raccontarvi dell’andirivieni dei miei compaesani, colti dall’interesse per la mostra e dalla curiosità di ritornare in un luogo che per anni è vissuto solo nei ricordi.

Teresa e Cesare mi danno il benvenuto, e di qui inizia il mio tour per la mostra, allestita nella vecchia stazione. Teresa, la curatrice inizia a farmi apprezzare le opere di Cesare e con il sottofondo della vecchia radio del capostazione vago per le sale della mostra. Finisco il giro ed esco per la mia solita sigaretta che questa volta fumo in compagnia di Cesare, l’artista. Ci sediamo ed iniziamo a chiacchierare.

Mostra di Cesare Maremonti

Cinquantaquattro anni, il cinque è il suo numero preferito, ma non può fare a meno del quattro e del tre. Non sto dando i numeri, o almeno non io, perché questa volta posso benissimo dire di essermi trovato sommerso dai numeri! Teresa Colucci, curatrice della mostra di Cesare Maremonti, è un matematico, Cesare, invece, un architetto. I numeri per loro sono importantissimi, e questo Cesare lo sa bene, che per realizzare le sue opere utilizza solo formati quadrati riproponendo la serie in multipli di tre. Lo spazio; è forse questa la cosa che più assilla Cesare, lo spazio come contenitore, ovviamente in rapporto al contenuto. Lo spazio urbano, quello in cui i contenuti siamo noi. Lo spazio come rapporto fra l’essere umano e la propria memoria, quello che potremmo a buon motivo chiamare metaurbano. Lo spazio come segno tangibile dell’antropizzazione del pianeta. Non è un caso infatti che Cesare parli di “Attraversamenti”, oppure di “Passaggi e paesaggi”e le sue opere si concludano con il solco che prima di essere gesto è memoria. Tutto infatti si ricollega a quella difficile equazione fra la volontà dell’uomo di domare la natura e il piacere nel sapere di essere dominato. Spesso Cesare ha scelto di allestire le sue opere in spazi abbandonati dalla memoria, così come a Miglionico la vecchia stazione, intrisa ancora di quei lunghi momenti di attesa in un mondo in cui il tempo era segnato dal sole. Le architetture raccontano, narrano di un passato in cui l’uomo si è intrufolato, lasciando poi che la natura se ne riappropriasse fino al giorno in cui ritornando in quel luogo chiude quello strano cerchio che è la storia. Linee, gesti, viste dall’alto, un viaggio nella storia più recente, fatta di passaggi veloci, di vie solcate dai segni dell’uomo. Ma la velocità che contraddistingue il nostro secolo turba la visione di Cesare che, al frenetico vorticare delle città che i Futuristi all’alba del Novecento invocavano, preferisce la calma degli interventi di Jannis Kounellis. E se le premesse della mostra sembrano legate a Schifano (basti pensare al titolo: Paesaggi anemici) le conclusioni non possono che essere legate a Cesare, che nell’astrazione della forma ricorda la regolarità da cui è nata, a cui è legato. Formati quadrangolari, spazi divisi equamente, supporti sapientemente regolati dal cardo e decumano che Cesare ritrova piccolissimi in una tela per un materasso ormai dimenticato. Gestualità che trova nel ricordo del proprio vissuto la memoria di un mondo che ha ormai dimenticato di essere esistito e che guarda al futuro con l’autocommiserazione di chi sa di aver fallito. La téchne si abbraccia alla fantasia e le rigide ripartizioni non sono che un invito ad osservare; dall’alto, dal basso o di lato, poco importa che i tuoi occhi vedano cose differenti. L’operazione di Cesare non trova certo appagamento nella comprensione dei suoi spazi quanto nell’invito accolto a riappropriarsi del ricordo di un luogo, che nell’esasperazione della forma diventa metafisico, ripercorribile solo con l’immaginazione. I colori possono essere sgargianti oppure spenti; la tecnica, meglio se mista, perché anche un pezzo di passatoia è memoria. Il segno si sottrae sempre più, diventando una linea sottilissima che ricorda, come vuole Cesare, la linea di terra, linea su cui si è fondata la prospettiva e che dal Quattrocento ad oggi non cessa di mettere alla prova chiunque si abbandoni alla rappresentazione. Linee di terra che diventano orizzonti, terre che ricordano la sua Matera, nata, com’egli stesso afferma, per sottrazione, solcata dagli scalpelli che l’hanno svuotata e riempita dalla gente che l’ha abitata. Ed in questo contrasto fra pieno e vuoto, fra contenuto e contenitore, fosse solo per un centimetro quadrato: danzano le forme, volteggia la memoria, gira su sé stessa l’idea che un giorno ritorneremo nei luoghi di cui la natura si è riappropriata, fosse solo per ricordare il passaggio che avevamo solcato o chissà per crearne uno nuovo.

Fabrizio Perrone

Fabrizio Perrone, classe ’95, cresciuto sotto l’ombra del castello di Miglionico. Studente dell’Università di Urbino e successivamente dell’Università di Siena, aspetto impaziente di conseguire la Laurea Magistrale in Storia dell’Arte. Interessato agli svolgimenti dell’arte cinquecentesca e al macchinoso rapporto fra passato e presente curo la rubrica #artelucana per il blog #ioviaggiolucano.